Il giorno dopo accaddero molte cose.

Si attesero tutti in centro alla fabbrica.
Fecero cerchio.
Intonarono un canto.
Guardandosi negli occhi.
Stettero zitti.
Frementi e teneri.
Poi frullarono via.
Ognuno al proprio cimento.

- Pronto caro, desidero parlarti. È possibile ora? -
- Ti aspetto. -
S’incontrarono nel mezzo dell’officina, intorno al tavolo basso ovale.
Servì il tè e sedettero sul tappeto, fianco a fianco.
- Questo cliente chiede una consegna entro otto minuti. Qui c’è l’ordine. Cosa ne pensi? -
Lui carezzò il cane e gli offrì un pezzo di torta.
- Devo riflettere. -
Chiuse gli occhi e s’immerse nel programma di lavoro.
Sussurrò.
- Se quest’altro accetta un ritardo di quattro mesi, possiamo soddisfarlo in dodici minuti. -
- Suppongo sia accettabile. Ti faccio sapere. La tua torta è deliziosa, grazie. -
L’abbracciò e tornò negli uffici.
Chiamò l’altro cliente.
- Ciao, è un buon giorno? -
- Sì, ieri sera abbiamo festeggiato il compleanno di mia figlia e sono ancora inebriata della sua felicità. Ne vuoi un po’? - 
- La sento, la sento, grazie. Ho un favore da chiederti: potete accettare un ritardo di quattro mesi sul vostro ordine 202006789? -
- Verifico con i nostri clienti e ti faccio sapere. Stammi bene, buona giornata. -
- Anche a te, grazie. -
Quarantatré secondi dopo ricevette l’ordine con la consegna modificata come da accordi, e una tenera nota: - Tre clienti e due fornitori hanno graziosamente accettato le variazioni di consegna implicate dal ritardo che ci avete proposto: sono stati felici di contribuire alla buona riuscita cosmica. -

- Ma porcaccia la miseria perché cazzo non avete ancora spedito quell’ordine? Ci ammazzate! -
- Carissima, ancora non vi è giunta novella? Ieri l’universale interdipendenza di tutte le cose è divenuta coscienza viva in tutte le cose. Volgiti brevemente a te stessa e vedrai. L’interesse particolare non ha più rilevanza. Ora siamo uniti da un solo traguardo. Bellezza, amore e armonia sono l’evidente riferimento per ogni decisione, umore e spirito. Se osservi con attenzione il tuo programma, vedi che non hai motivo per opporti a questo ritardo: è necessario per giungere là dove tutti vogliamo. -
- Comprendo. Sì, vedo. Perdona che non avevo ancora inteso. Ora tutto è chiaro. Dunque grazie e a risentirci presto, sono felice di contribuire alla buona riuscita cosmica. -

- Puoi caricare tu l’ordine di questo cliente? -
- Subito. -
  - Quest’ordine di produzione è sbagliato, mancano gli inserti. -
  - Dammi, controllo subito. -
    - Mi si è appena rotto un utensile, possiamo tardare la consegna del cliente di tre giorni
      o devo trovare altre soluzioni? -
    - Chiamo subito il cliente e ti dico. -
       - Il telefono non mi funziona, riesci a risolvere la questione subito? -
       - Sì, eccomi. -
          - Già che passi di qui, guarda: il computer s’è bloccato e non  risponde più a niente.
            Che faccio? -
          - Stacchi la spina e riattacchi, amore bello!
               Bella pecorella, ciao, come stai? vuoi un po’ di fieno? vieni, ecco qui, prendi. 
               Che bel vello che hai oggi, ma come sei carina! Fatti dare un bacio - come sei
               morbida - stammi bene, carissima - ci vediamo più tardi.
          Allora dov’è il telefono? Dammi qui. E sono le pile, tesoro: ora te le cambio e senti
          che funziona di nuovo? Stammi bene, buona telefonata. Oddio suona, è per me? 
               Pronto, come posso aiutarla? Ah cioè non ha capito cosa è un giunto? 
               Guardi glielo spiego subito, è semplice: si tratta di una connessione universale
               psicocosmica che, serrata secondo una coppia Newton/metri esatta, 
               garantisce la perfetta tenuta di qualunque relazione meccanica, 
               soprattutto quantistica, ha capito? Sono felice, la ringrazio di aver chiamato 
               e mi auguro che vorrà onorarci con ordini imperiosi che sollecitamente
               provvederemo ad esaudire. A risentirla!
      Pronto? Ciao gioia, come stai? Senti, ci si è rotta la fresa mentre stavamo forando il
      vostro I23485w67: avete problemi se tardiamo di tre giorni? No? Bene, ti ringrazio
      moltissimo, sei proprio caro, buona giornata. Pronto? Non ti preoccupare per quel
      cliente, ti manda un bacio, e io ne aggiungo altri due: buon lavoro, bello!
    Eccoci, dunque, ma quest’ordine di produzione non è sbagliato: è che probabilmente 
    hai interpretato male il disegno. Guarda qui: non vorrai dirmi  che  hai montato  
    l’anta zenitale  invece che azimutale?!   Ma dài, scherzi? Sei proprio buffo talvolta! 
    Va’ e finisci questa roba che dobbiamo spedirla fra diciotto secondi. 
    Attento agli scalini! Che uomo adorabile!
Ordine caricato. Sotto al prossimo. -

Gli toccò gentilmente la spalla e sussurrò all’orecchio.
Egli arrestò il gesto nell’aria.
Lasciò le cose lì dove erano, nel punto esatto dello spazio dove aveva arrestato il gesto.
Il bullone qui, la chiave lì, il profilo là, ogni cosa immobile congelata nell’aria.
Fece un passo indietro.
Abbracciò con uno sguardo il lavoro sospeso all’istante.
Quando fosse tornato per riprenderlo, all’istante avrebbe saputo il punto in cui il processo era stato arrestato, e come era necessario portarlo avanti.
Chiunque fosse stato incaricato di riprenderlo l’avrebbe saputo all’istante.
Tutto era chiaro, rigoroso, necessario.
Elegante come la traiettoria di un sasso.
Si voltò, fece una frasca alla capretta che brucava lì vicino e mosse al nuovo cimento.
L’altro proseguì, innaffiò un limone, fischiettando allegro, si avvicinò a un altro compagno, guardò compiaciuto i progressi della sua opera e fermò anche lui, invitandolo al nuovo cimento.
Così, in breve, con metodo e pazienza, congelò una parte dei processi in atto, e avviò i nuovi.

A metà mattina l’odore del caffè tostato si diffuse per la fabbrica, poi il gorgoglio della moka.
Ogni lavoro fu sospeso, tutto fu quieto e tutti intorno alla moka.
Cucchiaini, piattini, tazzine, sommesso chiacchiericcio, disteso fruscio, sorrisi, sguardi complici, stiramenti, sbadigli, discussioni animate sopra i massimi sistemi, sopra il pranzo di domani, sopra la politica e l’ambiente, sopra i figli, i genitori e gli amanti, confidenze e consigli, letture e canti.
Un tempo ricco, lento, caldo.
Un respiro dolce.
E quando ognuno fu ristorato, lieti volarono indietro al cimento.

Entrò un uomo. 
Orribile.
Fetido.
Lurido.
L’aria fu irrespirabile.
La stanza si vuotò.
Rimase la bella. 
In ginocchio con un sorriso estatico.
- Oh tu, sei così brutto che è impossibile guardarti.
Il tuo puzzo fa vomitare.
E parli con una voce stridula insopportabile.
Ma oggi vedo la tua anima.
Limpida e turchese come un mare corallino.
Dolce e sensibile come un bocciolo che schiude.
Sono commossa e grata. -
Lo condusse alla vasca ricolma d’acqua fumante.
L’immerse, lo strigliò, lo liberò da anni di fango ed escrementi, crosta immonda, crisalide di penitenza.
- Ecco, mi faccio carico io di un po’ del tuo lerciume.
Così potrai andare più leggero.
Guarda come sei bello! -
Mise indosso i suoi stracci.
Spalmò in viso due dita di cracia.
Allora l’anima avvampò scarlatta.
Fu un rubino sfolgorante.

Entrò un camionista africano.
Gridava arabo.
Lui non capì una parola ma comprese la reazione.
Gli aveva appena fatto intendere che avrebbe dovuto aspettare quattro ore per il carico.
Il camionista gli gridava in faccia minaccioso, con un fiato d’aglio e le ascelle acri.
- Perdona, hai ragione d’essere così arrabbiato, moglie e figli ti aspettano a casa e tu tarderai un altro giorno, e non ne puoi proprio più di questo traffico infernale, ma devi avere pazienza, la pazienza è virtù cardine.
Vieni, ti offro una buona merenda.
Lo so che sei arrabbiato, è inutile che ti agiti così, non capisco cosa dici e in ogni caso non possiamo far nulla.
Senti che buono questo caffè, e i croissant che ho preparato stamattina: sono ancora croccanti di forno.
So che per noi è facile per te no, ma tutto ciò che posso fare lo farò.
Ecco, siedi su questa bella poltrona, e riposa un po’ con il tè e i biscotti.
Senti che musica dolce. -

- No, che fai? Mica vuoi incollarti a Youtube? Qui abbiamo smesso. Eravamo così intossicati da tutta quella pornografia, tutto quell’orrore, e quello squallore, la sguaiataggine, le risate assurde e sgangherate, malsane, velenose. Era diventata una dipendenza, un’intossicazione cronica. Passavamo ogni minuto che potevamo con gli occhi incollati a quelle immagini che ci asfissiavano l’anima. Non parlavamo neppure più fra noi, se non per dirci - guarda questo - e tu questo - hai visto quello? - ma pensi che sia vero? - ma no figurati - e chi lo sa? - e guarda questo - Un giorno abbiamo capito che eravamo come drogati. Allora tutti insieme abbiamo fatto voto: mai più. No, è troppo pericoloso. E anche la televisione, cosa credi? Sì, più blanda, ma ugualmente pervasiva e allucinante. Tutto fa leva sempre sui nostri istinti più bassi e morbosi, che subito hanno il sopravvento, è così difficile dominarli! Un po’ di sana demonizzazione è molto più facile. Ecco, una volta riconosciuto che siamo fatti di bene e male impastati insieme, impegniamoci a tenere a bada il nostro male, non andiamo a stuzzicarlo e rinforzarlo: impariamo a riconoscere ciò che può alimentarlo ed evitiamolo! Tutte quelle sere passate col cervello spento davanti a uno schermo! Ma ora non più. Ora la sera parliamo, leggiamo, o facciamo l’amore. Oppure dormiamo, che ne abbiamo sempre tanto bisogno. Ora abbiamo imparato a nutrirci solo di ciò che è buono, lasciando stare tutto quello che sappiamo che fa male. È inutile saperlo e continuare a farci male. A un certo punto ci siamo dati coraggio e abbiamo detto: basta. Così come un giorno avevamo smesso di fumare. È esattamente la stessa cosa. Che ne dici? Dici anche tu basta? Guarda, fa’ così: posa questo telefono e prendi questo libro. Il Diario di Etty Hillesum. È una di quelle testimonianze del nostro spirito che non possiamo non leggere almeno una volta nella vita. Prendi, leggi questo. Coraggio. -

- Ciao, è un onore accoglierti nella nostra fabbrica: lascia che ti abbracci!
Guarda quante cose belle facciamo.
Guarda questo attuatore stratosferico a cinque dimensioni.
So che non capisci ciò che dico, ma la bellezza la vedi!
Guarda queste linee, le curve, gli spazi gonfi, le finiture lappate, tocca, tocca qui, senti il fremito dell’alluminio lavorato a sfoglia, guarda l’audacia, è bello come un Van Gogh o no?
Ma la bellezza non è solo di ciò che produciamo: è anche bellezza dei movimenti che facciamo, come un danza; è bellezza delle parole che diciamo, che sono poesia; ed è bellezza dei pensieri che formuliamo nella concentrazione del lavoro.
Ormai è quasi ora di pranzo. E oggi cucina un compagno che è tuo conterraneo. Sta preparando il couscous di verdure: perché non vai a dargli una mano e poi mangi con noi? Che ne dici? È una buona idea, no? -

- Fermati a mangiare con noi. Oggi cucina lui. È bravissimo, ha imparato dal padre siciliano e ci stravizia. Eravamo stufi di mangiare le porcherie che somministrano alle mense per lavoratori: stavamo sempre a lamentarci del mal di stomaco e dell’intestino affaticato. Un giorno abbiamo deciso di porre rimedio. Da allora, ogni giorno, a turno, uno di noi prepara da mangiare per tutti. È meraviglioso! Mangiamo all’ultimo piano, un locale arioso con finestre su tutte le pareti e terrazza per la bella stagione, lussureggiante di piante d’ogni specie e piccoli orti in vaso. Mangiamo tutti insieme intorno a un unico tavolo, felici e ciarlieri. Poi si sparecchia, si lavano i piatti, si gioca, si legge, si dorme, secondo l’umore che hai. Dài vieni con noi. Ecco, suona la campana, seguimi. -

- Attento a non macchiarti, è vernice fresca. Ti presento il nostro artista. Tutti i murales che vedi sono opera sua e questa è l’ultima impresa. Si tratta di un’interpretazione fantasmagorica della sezione interna di un attuatore termonucleare: vedi come i dettagli meccanici sviluppano escrescenze vegetali e animali, intrecciate in una foresta da cui emergono i volti di alcuni di noi? Quando non è impegnato ad affrescare la fabbrica, compone qualche nuova canzone di lavoro, per darci ritmo ed energia, oppure dispiega la sua voce vibrante in un canto epico che celebra le nostre imprese. Quando non dipinge né canta, prepara i nuovi cataloghi, o il nuovo sito.
Spiega a questo signore il dipinto a cui stai lavorando. -

- Si tratta di un uomo incorporato ad una macchina: quattro gigaingranaggi verticali; ortogonalmente sei ganasce accoppiate; in obliquo, a scomparsa, tre lame che scivolano lungo i tre assi cartesiani e nello zero annientano; le cinghie di trasmissione, in cuoio borchiato, scorrono su e spariscono verso l’alto, per agganciarsi ai motori sospesi in cielo, e due stantuffi mastodonti incombono minacciosi, mossi di moto alternato.
Messo così in pericolo, l’uomo non pare schiacciato né perso: è invece il fulcro, il dominio, la luce sanguigna, il cervello elettronico, l’atleta sciente, la psiche fisica, il biomotore nucleare!
Vedo il suo collo lungo e mobile: colloca la testa là dove urge. 
Un’occhio guarda da una parte, l’altro dall’altra; ma ne aggiungerò altri in punta di dita, o sulla cervice, sulla schiena e sulla cosce: egli vede tutto, controlla a vista ogni micro, sguardo iperesatto.
Circa la postura del corpo, sto esaminando due alternative: o poggia saldamente su di un’unica gamba flessa, come certe divinità indiane, ed in tal caso, forse in ogni caso, potrei dipingere più di due gambe: l’una di leva, di appoggio inamovibile, le altre in movimento elaborato, poiché egli fa tutto, muove ogni comando, mossa massime calibrata – guarda le dita possentemente sventagliate del piede a terra, e quelle altre invece tutte arricciate eccetto l’alluce, ultrateso a pigiare il pulsante viola! –; oppure librato in aria, assorbito via nel vortice preciso del meccanismo, di slancio, assecondando le fasi micrometriche della macchina, come un guanto la mano.
Sulla destra del quadro, nella penombra del margine, c’è la silhouette cromata del megaturbo, capace di sviluppare un vortice di risucchio pari ad una bora sui centoventi all’ora, indispensabile per ripulire la macchina dei trucioli di lavorazione, ma estremamente pericoloso per lui, che vedo talvolta steso a mezz’aria, strappato alla plancia comando, per metà già inghiottito dall’aspiratore, e però un ricciolo ancora lo lega al portello di alimentazione che con una mano va aprendo, mentre l’altra introduce il pezzo successivo, l’altra prepara quello dopo, l’altra toglie il pezzo lavorato, l’altra pulisce quello tolto prima, l’altra sposta il carrello, su cui l’altra dispone i pezzi terminati, mentre le altre ancora assemblano il tutto, poiché egli è tutto, cresce in ogni oggetto lavorato, essere essenzialmente efficiente.
Nella parte superiore del quadro, sospeso ai cieli della fabbrica, si scorge un altro uomo, intento a collaudare l’ultima sua meraviglia, il MecaTrone 10.0, che ha ideato, progettato e realizzato per risolvere le code ai centri di lavoro ormai saturi.
Un altro ancora scorrazza in basso, gestendo il caricamento delle barre nella macchina, seguito da un nugolo di fili che collegano la sua mente all’elaboratore del MecaTrone: esegue una danza vorticosa fra centinaia di barre in attesa, intrecciando pensieri microcentesimali ai processi esatti della macchina. Ogni tanto si ferma e getta qualche chicco di mais ai galletti che razzolano intorno. Oppure coglie una mela. O pota una rosa. O si esibisce in una giullarata per l’ilarità di tutti. -

Entrò un compagno del magazzino, esperto falegname: all’istante costruì una culla in legno massello e soffice ovatta per proteggere dai pericoli del trasporto l’attuatore ordinato 12 minuti prima. 
Impreziosì la culla con fregi veloci e svolazzanti, la farcì di leccornìe appena sfornate, per la felicità del cliente in attesa, e la depose con delicatezza sul pianale del turbovettore incaricato alla consegna.

Poco dopo chiamò il cliente. 
- Avevo ordinato un attuatore sferico, me ne avete consegnato uno cubico: ma come minchia è possibile?! -
- Le chiedo scusa a nome di tutti noi. Gli errori fanno parte del processo, ciò che è essenziale è la procedura di rimedio: mentre parlo, l’unità di soccorso è già per strada. Quando questa breve telefonata sarà conclusa, se avrà la bontà di richiamare la sua officina, constaterà che l’errore è stato rimediato.
Cosa succede quando accade un errore?
Per camminare spingi il corpo in avanti, fino a che perdi l’equilibrio e cadi; allora muovi il piede e riprendi l’equilibrio, un passo più avanti. Questo è l’errore.
L’azione perfetta è impossibile: il lavoro consiste nel tentativo ostinato e tenace di ridurre gli errori a quantità e dimensioni tendenti all’irrilevante.
Questo sforzo, questa tensione impossibile, sviluppa una danza di una bellezza sconvolgente.
Tutti sbagliamo, questa è l’unica cosa certa.
Qui, noi, facciamo di ogni singolo errore il passo fermo di una danza sfrenata e meravigliosa.
La prego di non aversene a male ed anzi di trarre letizia dal gesto colmo di bellezza.
La saluto, la ringrazio per l’attenzione e mi scuso ancora per il breve contrattempo: mi hanno appena comunicato che ora il vostro attuatore è sferico precisamente come l’avete richiesto. -

- Voi, non dovete pensare: fare! Non ciò che verrà per il vostro agire: agite! Voi, i frutti non vi toccano: l’azione. Pulite la mente e lavorate: non il prodotto, produrre è. Distogliete, voi, togliete lo sguardo ai frutti del vostro operare, siate unicamente compresi del vostro essere operai. Voi, quando saprete chiudere gli occhi e, sul filo di un respiro lento e profondo, muovervi senza pensiero, senza sforzo, in un batter di cuore, fino al prodotto esatto, allora, voi, solo allora sarete buoni operai, illuminati, voi, santi; perché la vostra legge è l’essere operai. Solamente così, voi, non troverete alienazione, quando lo spirito non sarà rivolto al prodotto dell’operare – che è altro da voi, è merce, si compra e si vende, non siete voi –, bensì all’operare stesso. Nel vostro operare, voi, siete, e dovete cercare la perfezione del vostro essere.
Avvitare un dado, pare cosa facile, ma avvitarlo da buon operaio – per essere un buon operaio che avvita un dado è necessario studiare dai sette ai dieci anni, ogni giorno avvitare mille, duemila dadi, studiando la mossa instancabilmente calati in essa, così da perfezionarla istante dopo istante fino ad essere capaci, voi, capaci della mossa del buon operaio che sa avvitare un dado.
Per avvitare un dado occorrono due dita, quindici tendini, otto neuroni. Nulla più, ogni altro punto del corpo e della testa deve restare libero, rilassato e libero per qualunque altra operazione richiesta. Dovrete essere capaci di avvitare un dado con due dita qualsiasi, anche dei piedi; dovrete scoprire i quindici tendini essenziali, imparare a muoverne uno alla volta e coordinarli insieme nell’atto straordinariamente complesso dell’avvitare; dovrete irrobustirli e sveltirli fino ad essere capaci di avvitare un dado più veloce e serrato di qualunque utensile; dovrete essere capaci di farlo in uno stato di sonno più profondo di quanti mai abbiate sperimentato, rasente la morte, eccetto per l’attività di otto potentissimi neuroni, voi … l’infinito, l’infinitamente potente è in voi, ma così lontano e nascosto, che non avete mai immaginato. 
Vi prego, cercatelo, da oggi cercatelo: nei vostri dadi, nelle vostre tastiere, nei visori, nei telefoni, in ogni vostra azione, da oggi, cercate l’infinito. -

Proprio allora entrò un mostro che voleva divorare tutti.
- Prendi questa spada e piantagliela nel cuore. Non puoi esitare, neppure un istante. Ci distruggerà. - 
- È una creatura come noi, che diritto ho di ucciderla? Ha fame, anche noi quando abbiamo fame mangiamo polli, vitelli, agnelli. - 
- E quindi pensi di lasciare che ci mangi tutti perché, poverino, ha fame? Sei folle! Non sei buono: sei folle! Credi che, se potesse, l’agnello non ucciderebbe il suo macellaio? Mors tua vita mea. Uccidilo. -
- Che differenza fa che muoia io o lui? -
- Hai la responsabilità di tutti noi. Il mondo non si regge su una sola forza: collasserebbe, scomparirebbe. Il mondo scaturisce dalla contrapposizione di una moltitudine complessa di forze. Il mondo è essenzialmente violento. Questa violenza è sacra. Devi uccidere il mostro per preservare il mondo. Uccidilo. Ora! -
Piantò la spada nel cuore del mostro.

Una compagna pianse.
Pianse il mostro morto e tutti loro che per poco non erano morti.
Lacrime di una madre cosmica.
Un compagno avvicinò il volto al suo e mise gli occhi in fondo ai suoi.
- Questo non c’è più perché quello non c’è più, questo è in questo modo perché quello è in quel modo, questo è nato perché quello è nato.
Guarda questa foglia.
Se guardi, vedi anche le nuvole nella foglia, perché senza nuvole non c’è la pioggia e, senza pioggia, questa foglia non esisterebbe.
E vedi la terra, il tempo, lo spazio, la mente: tutti presenti nella foglia.
L’intero universo si manifesta nella foglia.
La realtà della foglia è un miracolo stupefacente.
Ora vedi che questa foglia esiste già nella luce del sole, nelle nuvole, nell’albero e in te stessa.
Ora vedi che tutto è interdipendente, che se svanisse anche solo una foglia l’intero universo cesserebbe di essere, perché è l’esistenza di ogni singola cosa che rende possibile l’esistenza di tutte le altre.
L’uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell’uno. -

Allora si abbracciarono.
Si fusero.
Furono un corpo con quattro braccia.
E una testa con due volti.
Uno a nord, l’altro a sud.
Poi un altro disparve, e il suo volto fiorì a est dei due.
Poi un altro ancora disparve, e il suo volto fiorì a ovest dei tre.
Poi, tutti, uno ad uno, disparvero, e riapparvero incorporati nella creatura meravigliosa.
Che ebbe due gambe, un busto, quarantasei braccia, e una testa con ventitré volti.
La creatura fletté una gamba e sollevò l’altra.
Mosse le braccia, e la fabbrica produsse.
Mosse le braccia, e la fabbrica prese dagli uni, produsse, e diede agli altri.
Mosse le braccia, e gli uni e gli altri disparvero.
Riapparvero incorporati nella creatura meravigliosa.
Che crebbe fino a riempire tutto.
Fino ad essere tutto.