Vorrei un lavoro in cui poter esprimere i miei talenti.

Un lavoro che mi soddisfi e mi realizzi, in cui esprimere la mia personalità autentica.
Lo voglio, è un mio diritto.


Ma che tutti i cittadini della repubblica possano scegliere il lavoro che meglio si confà ai loro talenti è un auspicio, una stella polare, certo non una realtà, né un obiettivo facilmente realizzabile. 
Se tutti scegliessimo di fare i panettieri?
Se nessuno volesse fare il netturbino?
Allora intanto dobbiamo accontentarci di compromessi. 
Fino a dove la robotica non riesce ancora a sostituirci, di quel residuo dobbiamo necessariamente farci carico.


Ma se nessuno volesse fare il netturbino, come dovremmo decidere chi lo fa?
L’unica decisione che sento giusta è questa: ognuno a turno.


Vorrei che riorganizzassimo la società secondo un modello che preveda per tutti periodi di prestazione d’opera civile. 
Sono certo che avrebbe anche ricadute benefiche sul rispetto reciproco e sulla cura delle parti comuni.
Penso che sarebbe salutare per tutti continuare ad impegnarsi in una certa misura nelle attività necessarie della vita: coltivare o raccogliere alcuni cibi, e cucinarli; occuparsi dei propri vestiti, del rammendo e dello stiro; contribuire alla costruzione o alla manutenzione della propria abitazione, e alla pulizia; contribuire in qualche forma allo sviluppo e alla manutenzione dello spazio comunitario, materiale e spirituale.
La specializzazione della società oggi è spinta al punto che molti, volenti o nolenti, tralasciano queste attività fondamentali del tutto o quasi: penso sia un danno per lo sviluppo armonioso della persona.