Vorrei che fossimo più eguali.

La ricompensa dovrebbe essere direttamente proporzionale alla fatica e al rischio, e inversamente proporzionale alla soddisfazione, in una qualche misura. 
Concordando una giusta scala di equivalenza tra fatica fisica e mentale. 
Valutando i rischi per la salute e, in una varietà di casi, la vita.
Considerando parte della ricompensa la soddisfazione che viene direttamente dallo svolgimento di alcune attività, per esempio tutte quelle artistiche o sportive; di contro a quelle che non sono fonte di alcuna soddisfazione specifica, la cui ricompensa dovrà essere interamente monetizzata. 
Chi fa il calciatore dovrebbe avere una ricompensa inferiore a chi lavora in miniera. 

Quando eravamo agricoltori, se avevo capacità superiori alle tue, mangiavo un po’ di più, e mi riparavo in un’abitazione un po’ più bella e comoda: la differenza non era granché. 

Oggi la differenza può essere abissale.

Perché quella superiorità viene elevata a potenza dalla complessità della società che abbiamo sviluppato. 

Di cui non ho merito alcuno, ne beneficio soltanto.

La differenza abissale non è necessaria, è conseguente alla società.

La società si struttura come risultante delle intenzioni di tutti noi e di quanto accade su tutti i piani.

Vorrei che le nostre intenzioni fossero molto più egualitarie.


Se sono un grande calciatore, perché devo guadagnare enormemente più di qualunque operaio?

La possibilità di vivere impegnandomi in un’attività sportiva mi è garantita dal lavoro della maggioranza operaia. 

E le soddisfazioni che traggo dal mio lavoro sono molto superiori.


Se io sono ricco e compro tante cose, allora altri dovranno lavorare oltre che per sé anche per me. 

Se posso comprare una Ferrari mentre tutti gli altri solo una Cinquecento, è perché gli altri hanno lavorato anche per me.

Oppure se sono ricco e lavoro meno o niente.

Ma come posso tollerare di stare così sulle spalle degli altri?

Di avere potere sugli altri?


Per lo stesso motivo trovo ingiusta qualunque forma di lotteria. 

Ognuno mette sul piatto un po’ del proprio lavoro, affinché qualcuno possa lavorare meno o addirittura niente.

Anche se siamo tutti d’accordo, e chiunque di noi ha la stessa possibilità di diventare quel qualcuno, tuttavia sento che è ingiusto, e non voglio credere che qualcuno possa essere in pace con se stesso stando ozioso sulle spalle degli altri: se lo è, non sa quel che fa.